Lettera a me stesso: “I debiti sono sempre degli altri”

Se partissimo dalla convinzione che ognuno di noi, fatto di “sangue e di carne”, è la sintesi dei vizi e delle virtù di una millenaria stratificazione che ha saputo filtrare pregi e difetti dei popoli dominanti, eviteremmo di inciampare nella debolezza dei luoghi comuni. Ogni qualvolta che a tutti i livelli istituzionali, partendo da quello centrale fino alle amministrazioni più periferiche si insedia una nuova governance, i debiti ereditati sono sempre degli altri cioè di chi li ha preceduti. A scanso di equivoci, il mio non è il tentativo maldestro di giustificare chicchessìa e guai se lo fosse, ma lo sforzo semmai di provare ad articolare un’analisi lucida, scevra da ambizioni politiche future. Chi ha avuto un ruolo attivo nell’amministrazione della cosa pubblica sa che la creazione di un qualsiasi deficit è il frutto di una scelta inappropriata, fatta magari in buona fede e con la convinzione di fare il bene della comunità. Evitiamo quindi di incorrere nella tentazione di mettere sul banco degli imputati la sola politica in quanto la burocrazia, parimenti alla prima, non è immune nel concorrere e condividere alcuni atteggiamenti. Io personalmente, per quanto detto in premessa, sono convinto che è soggetto a sbagliare solo chi decide, con la sola differenza tra l’errore fatto in assoluta coscienza e quello teso a procurare un dolo volontario. Quale sia la differenza giuridica tra i due non mi è dato saperlo. Politicamente però, non esiste differenza sostanziale per ambedue i comportamenti se è vero che alla fine quello che conta è il fatturato amministrativo prodotto. Dal lontano periodo autonomistico, quasi mezzo secolo addietro, gli uni tentano di riempire il peso del passato sugli altri. Per carità, oggi non ho contezze oggettive per acclarare o confutare quanto detto ad ogni piè sospinto, ma siamo in presenza di un ciclico gioco delle parti che tende a scaricare il peso del barile su chi ha già sgomberato il campo da un pezzo. La storia si ripete, di volta in volta. La spiegazione di simile comportamento è nel tentativo da parte di chi amministra (manco chi vi scrive in passato è stato immune) di giustificare probabili fallimenti o mancate aspettative future. Il codice genetico della politica è quello di redimere ogni accadimento teso a non soddisfare le legittime richieste che provengono dalla piazza. Una corsa a rincorrersi, in cui gli uni debbono per forza apparire migliori degli altri. La vita come contenitore di esperienza ci insegna però che infallibili sono solo gli “imbecilli” e i “Santi”, consapevoli che siamo in presenza né dei primi né tantomeno dei secondi, verrà il tempo, non tanto lontano, in cui gli “uni” faranno parte degli “altri”.